Sulla neve, dal Rifugio S’Arena a Punta La Marmora

Il mese appena trascorso è stato moltomoltomoltomoltomoltomolto faticoso e PESANTE, non solo per una brutta infiammazione del nervo sciatico che ci ha colpito, ma anche per tutta una serie di imprevisti, o meglio, delle vere e proprie rotture di cogl… scatole, e non di quelle che dici massì, vabbè, e lasciamo perdere che comunque ciclicamente si accaniscono contro noi due e ci siamo abituati, ma di quelle davvero davvero esagerate! Abbiamo una naturale predisposizione al buonumore, chi ci conosce lo sa… ma a volte, ci sarebbe proprio di che mandare un po’ di gente a fanc… quel paese!
O forse, è solo che siamo in crisi di astinenza da escursione, dato che è da alcune settimane che non facciamo nulla di impegnativo. Comunque sia, quando l’Amico Giulio chiama per avvisarci di essere libero da impegni e di avere in programma una bella escursione a Punta La Marmora per ammirare la recente nevicata, nonostante l’umore basso e una condizione fisica non proprio ideale, accettiamo di buon grado. Mal che vada, pensiamo, dopo aver chiuso al telefono e aver cominciato ad effettuare i preparativi, dovendo aggravarsi la situazione ci faremo venire a prendere da un elicottero.

E perciò eccoci qui, diretti verso il centro Sardegna, in un sabato a tratti nuvoloso, freddo e leggermente ventilato. Raggiungiamo il punto di partenza, il Rifugio S’Arena, intorno alle undici del mattino. Con Giulio, l’inesauribile Milo; Isa purtroppo oggi non è dei nostri a causa di un problemino di salute.
Già percorrendo gli ultimi chilometri di curve abbiamo incontrato le prime macchie nevose a bordo strada; qui, appena scesi dall’auto, il paesaggio è totalmente ammantato, ricoperto da una soffice coltre bianca che rende la vista piacevolmente monocromatica. Tra di noi è certamente Milo il più euforico, perché non si aspettava di trovare tuttttaaaa questa neve. Ma anche noi non siamo immuni al fascino del lieve tuo candor, neveee, e anzi ne siamo attratti, e non vediamo l’ora di inerpicarci su per il pendio. Indossati i k-way sopra i piumini, dato che la temperatura è pungente nonostante siamo vestiti più del solito, allegri e forse un pochino troppo spiritosi, cominciamo a camminare.

Le prime difficoltà dell’escursione odierna non tardano a presentarsi: ad ogni passo affondiamo nella neve – che comunque, un po’ sta già sciogliendosi – e nel giro di pochissimo abbiamo i piedi completamente zuppi e freddi. Il percorso non sarebbe nemmeno troppo faticoso – è in leggera salita, certo, ma nulla di troppo esagerato – se non fosse per il fatto che ogni due passi affondiamo fino ai polpacci, perdendo il ritmo e rallentando vistosamente la nostra andatura solitamente più sportiva. L’unico a procedere spedito, al solito, è Milo: al contrario di noi, si dimostra attivo ed energico, e quasi a voler dimostrare l’esistenza del moto perpetuo con la sua sola presenza, corre da una parte all’altra per ammirare tutti i punti più particolari, facendo addirittura dei veri e propri tuffi carpiati sulla neve.
Durante la salita, ci rendiamo conto che se vogliamo raggiungere la cima più alta della Sardegna dobbiamo accelerare il passo. Il vento freddo però ci ostacola non poco, e in più non riusciamo ad ignorare la sensazione di piedi che galleggiano all’interno delle scarpe. Nonostante ciò proseguiamo, invogliati dalla vista che spazia sempre più man mano che la quota aumenta, e dai panorami che diventano sempre più affascinanti e selvaggi, con le cime innevate in netto contrasto rispetto alle verdi vallate sottostanti e il cielo che, ora, è diventato azzurrissimo.

Raggiungiamo il ventosissimo Arcu Artilai e ci lasciamo la punta del Bruncu Spina sulla sinistra, proseguendo stoicamente verso la nostra meta. Ci siamo solo noi quattro, in questa parte di percorso; vediamo in lontananza Punta La Marmora, nota anche come Pedras Crapias (it. “pietre con fessure”) ergersi in tutta la sua magnificenza, e ci sembra quasi irrangiugibile, ma contemporaneamente ci accorgiamo di una cosa: le fitte improvvise di dolore alla schiena, prima quasi insopportabili, ora si sono attenuate notevolmente, probabilmente grazie alle temperature basse, all’attività fisica relativamente sostenuta che ha contribuito a sciogliere la muscolatura, e forse anche per il nostro generale stato di euforia e ritrovato buonumore. In questo tratto del percorso notiamo anche, tra un affondo e l’altro, e qualche caduta, che la vegetazione è rada, eccezion fatta per un piccolo boschetto di ontani e bassi cespugli di lentischio e macchia mediterranea che affiorano timidamente dal fitto strato di neve.

Le nuvole si diradano. Ora il sole splende e la neve ci abbaglia con il suo candore, mentre raggiungiamo i ruderi del Rifugio La Marmora. Nell’area di sosta adiacente, due persone sedute nei tavolini chiacchierano e mangiano: paiono non subire la morsa del freddo. Noi invece la sentiamo e, insieme ad essa, sentiamo anche altri morsi, quelli della fame: il consumo energetico, per arrivare fin qui, è stato sicuramente importante. Reputiamo però sia poco opportuno fermarci: la mancanza di un abbigliamento tecnico ci farebbe perdere velocemente il calore corporeo, magari causandoci qualche problema digestivo. Tutto questo bel bianco, meglio lasciarlo intonso!
Quindi, decidiamo di mangiare mentre camminiamo, e il nostro passo rallenta ulteriormente. Inutile specificare che, visto l’impegno fisico di quest’escursione, le tigelle oggi no si faint mancu zí!

Divorato il pranzo, e integrate le riserve caloriche con mandorle e cioccolato, ci sembra di avere a disposizione nuove energie, e infatti affrontiamo la salita verso con rinnovata vitalità, incoraggiati anche da Milo che ci motiva ad ogni passo con la sua vivacità. Dopo un ultimo ripido, e parecchio innevato tratto, ci ritroviamo ai piedi dell’enorme croce ad ammirare un panorama che definire bellissimo è senz’altro riduttivo. Il paragone con certi paesaggi himalayani visti sul web sarà sicuramente esagerato, ma tant’è: a volte è bello, esagerare, e qui è tutto talmente bianco e splendido e affascinante e mille altre cose belle tutte insieme!
A rovinare un po’ l’atmosfera, quella mistica che si crea quando si centra l’obbiettivo di essere arrivati fino in cima, mentre spaziamo con lo sguardo convinti di essere proprio sul punto più alto della Sardegna, ecco Giulio, che ci informa in maniera abbastanza didascalica che in realtà il punto più elevato si trova a poca distanza da dove ci troviamo ora, e che dobbiamo percorrere ancora un po’ di cresta per raggiungerlo. Azz! Ma oggi non ci ferma più nulla, e così camminiamo facendo un po’ di saliscendi tra gli spuntoni rocciosi: pochi minuti dopo, finalmente riusciamo a conquistare l’agognata vetta vetta. Siamo a quota 1834 metri, e tutto va bene. Davvero.
Alcune nuvole basse si addensano davanti a noi: quassù il vento soffia sostenuto. Diamo un’occhiata al sole, e agli orologi: meglio non attardarci, perché è ormai si è fatto pomeriggio inoltrato e abbiamo ancora parecchia strada per ritornare al punto di partenza (“Arrivare in cima è solo metà del percorso”, disse qualcuno).

Seguiamo lo stesso sentiero, se così possiamo definirlo dato che a volte non si distingue affatto, percorso all’andata, ed è inutile scriverlo: la difficoltà, anche in senso opposto, rimane la medesima! Sarà che siamo decisamente stanchini, sarà che il sole ha sciolto ulteriormente la neve, e infatti il sentiero è attraversato da piccoli e grandi rivoletti che scorrono vivaci, ma il fatto è che affondiamo ancor di più di quanto succedeva in mattinata. Ogni passo diventa più faticoso del precedente; abbiamo i piedi bagnati da parecchie ore, ma non li sentiamo più nemmeno così freddi, e il sospetto è di aver perso completamente la sensibilità.

Nuovamente nei pressi del Rifugio La Marmora incontriamo una coppia: ciaspole ai piedi, entrambi sostano seduti con espressione afflitta su un masso. Ci fermiamo a fare due chiacchiere e li riconosciamo: erano dietro di noi questa mattina quando siamo partiti, e in seguito li abbiamo persi di vista. Ci chiedono se siamo riusciti ad arrivare a Punta La Marmora e alla nostra risposta affermativa manifestano un’espressione di stupore e ammirazione nei nostri confronti (Manco avessimo scalato l’Everest! pensiamo noi): loro non sono riusciti a proseguire oltre questo punto e hanno deciso di tornare indietro.
Riprendiamo il cammino. I due sembrerebbero volerci seguire, ma quei cosi ai piedi, con la neve che diventa quasi istantaneamente acqua che gorgoglia e scivola a valle, devono essere stramaledettamente scomodi; dopo pochi metri, dato il loro passo notevolmente più lento del nostro, li perdiamo nuovamente di vista.
Non che il nostro incedere sia semplice, però: continuiamo a sprofondare ad ogni passo, e a bagnarci, e il rientro si rivela più difficoltoso. Affondando, capita anche di rimanere con un piede inglobato nello spesso strato freddo di neve, e di essere costretti a liberarlo aiutandoci con le mani. Nonostante i disagi, riguadagnamo il passo di Arcu Artilai, sospinti dal forte vento, mentre il sole già basso inizia a spegnere la luminosità e a rendere il paesaggio glacialmente spettrale.

 

Ora, è discesa. Comunque senza non poca fatica raggiungiamo il Rifugio s’Arena, mentre il sole da questo versante è ormai scomparso e il freddo si fa sentire più pungente. Giunti all’auto, non rimane altro che cambiarci gli indumenti zuppi e, grazie al riscaldamento, recuperare pian piano la sensibilità alle dita di mani e piedi.
Sulla via di casa, ci sentiamo in un particolare stato di grazia: l’aver portato a termine questa nostra piccola impresa, affrontando un percorso che ci ha offerto panorami spettacolari e dato la possibilità di camminare su creste dalla conformazione impervia, brulla e pietrosa, hanno reso quella di oggi un’esperienza unica e, data la giornata tipicamente invernale, davvero memorabile.
Àterus annus!

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