In giro per i boschi di Tonara e Belvì: Ponte Su Sammucu, Cascata Su Giumpadórgiu, Domus de Janas

Dopo le intense emozioni della settimana scorsa abbiamo bisogno di passare una giornata all’aria aperta, possibilmente in ambiente montano/boscoso, per sfogare la tensione accumulata con una bella camminata e, perché no, visitare anche qualche sito poco conosciuto ma certamente di grande interesse. E quale paese della nostra meravigliosa Isola può offrirci tutto questo? La risposta è semplice: Tonara! Che non è noto soltanto per l’ottimo torrone, ma anche per le meraviglie naturalistiche e archeologiche che ne caratterizzano il territorio.
Perciò, nonostante ieri sera siamo rincasati tardino – per le nostre abitudini da overquarentenni – dopo lo spettacolo multidisciplinare de Su Dotori (ne parliamo qui) riusciamo comunque ad alzarci presto e a partire di buon mattino. Ci incontriamo con la nostra amica Vale e ci dirigiamo verso il grazioso paese della Barbagia, e più precisamente verso la foresta di Uatzo, che abbiamo visitato anche recentemente; lasciamo l’auto nei pressi dell’inizio del sentiero naturalistico Fiume Giumpadòrgiu – Is Putzos, ed è proprio qui che inizia l’escursione odierna.

La giornata è piacevolmente fresca. Il cielo si sta liberando lentamente delle nubi mattutine e l’atmosfera che si respira tra queste grandi piante, lecci, roverelle e querce da sughero, oggi è tipicamente autunnale: un intenso profumo muschiato permea l’aria del bosco, e uno spesso tappeto variopinto di foglie che virano dal giallo, al rosso, al marrone, ricopre il sentiero e attutisce il rumore dei nostri passi.
Particolarmente ciarlieri, adottata un’andatura svelta in poco tempo raggiungiamo la parte bassa della vallata. Seguiamo un sentierino stretto che si snoda all’interno della folta vegetazione, inframmezzata qua e là da particolarissime formazioni di scisto che la Natura ha plasmato con graziose forme ondeggianti. Attorno ai nostri piedi l’erbetta umida riluce delle gocce di rugiada notturne. Tra le concrezioni rocciose si notano piccoli anfratti, cinti da bassi muretti in pietra, che in passato con tutta probabilità venivano utilizzati per il ricovero degli animali o come riparo di fortuna dalle intemperie.
Questo tratto del percorso è particolarmente scenico, con quel tocco wild che piace tanto a noi: ci sentiamo letteralmente avvolti dalla vegetazione. Attraversiamo un piccolo rigagnolo e, guidati dal gorgoglio dell’acqua, raggiungiamo la graziosissima Cascata di Giumpadórgiu, la cui vista è occultata parzialmente da un’edera di dimensioni ragguardevoli. Ci avviciniamo per osservarla meglio: la portata non è al suo massimo, a causa della scarsità delle piogge di quest’autunno troppo caldo, ma è comunque splendida, con i due salti all’interno della fenditura della formazione rocciosa, i graziosi incavi allisciati e levigati dallo scorrere dell’acqua, e le minuscole goccioline che si dipanano in tutte le direzioni.

Lasciato questo luogo incantevole, torniamo sui nostri passi per un brevissimo tratto, e poi ci dirigiamo verso un grande ponte di cemento armato che ci consente di attraversare il ruscello, che qui scorre incassato in una stretta gola. Giunti dall’altro lato, proseguiamo poi verso l’alto fino ad intercettare nuovamente un sentiero ben tracciato, e lo seguiamo per ritrovarci prima su uno stradello di recente realizzazione, e poi ai piedi del viadotto più alto della Sardegna, Su ponte ‘e Su Sammucu.
Lungo circa sessantrè metri, alto ben trentasette, è formato da sei archi di dieci metri l’uno e ha un andamento curvilineo: uno straordinario esempio di architettura industriale ben realizzato e visivamente spettacolare, situato lungo il percorso della ferrovia, ad oggi solo turistica, che collega Mandas a Sorgono, corrispondente a una delle cinque tratte percorse dal Trenino Verde.
Visto dal basso, il viadotto è sicuramente impressionante; ma dall’alto? Scopriamolo! Risaliamo il ripido pendio, sulla nostra destra, grazie a uno stradello, per poi seguire un sentiero che in pochi minuti ci conduce sopra il viadotto. Ora sulle rotaie, possiamo attraversarlo per tutta la sua lunghezza senza correre alcun rischio, dato che la ferrovia attualmente non viene utilizzata. Il panorama, com’è facilmente intuibile, da quassù è veramente bellissimo: la vista spazia sulla vallata sottostante, con le sue foreste e i suoi altissimi alberi verdi e floridi, e le montagne in lontananza.
La ferrovia prosegue all’interno del bosco da un lato, mentre dall’altro – dal punto in cui l’abbiamo intercettata – attraversa l’interno di una stretta fenditura ricavata nella roccia granitica; questo tratto ferroviario è particolarmente affascinante, ma altrettanto deve esserlo tutto il resto della tratta, dato che attraversa una porzione di territorio montano che definire suggestiva è quasi riduttivo: perciò ci ripromettiamo, per il prossimo futuro, di provare a percorrerla a piedi, impersonando uno Stand by me in salsa sarda, e sperando ovviamente di non incappare in nessun cadavere.
Ridiscendiamo verso il basso e all’interno del bosco ci fermiamo in  un piccolo spiazzo pianeggiante, riparato dal vento e illuminato dai raggi del sole che riescono filtrare tra le fronde degli alberi, per mangiare qualcosa. Un qualche tipo di volatile, a noi sconosciuto, canta in maniera quasi gracchiante: un’insolita colonna sonora, per questo luogo altrimenti silenzioso.

 

Terminata la pausa pranzo, prima che i muscoli si raffreddino troppo, ci dirigiamo nuovamente alle auto per raggiungere la seconda tappa di questa piacevolissima giornata. Percorriamo alcune stradette sterrate in buono stato di praticabilità e parcheggiamo in località Genna Ua.
Ci troviamo su un piccolo pianoro sopraelevato dal quale, quasi inutile precisarlo, si può ammirare un fantastico panorama, col bel paesino di Tonara sullo sfondo, al di là della vallata. Massicce querce, alle quali è stato tolto il sughero di recente, si ergono sopra l’erbetta verde brillante, creando un connubio di colori particolarmente intrigante con l’azzurro vivido del cielo.
Seguendo uno stretto stradello, raggiungiamo due piccole sepolture i cui ingressi sono semiostruiti da due spaventevoli carcasse caprine. Le due Domus de Janas, che prendono il nome della località, sono state ricavate in una formazione rocciosa di scisto. I piccoli portelli, dove venivano introdotti i defunti, si aprono all’altezza del piano di calpestio. All’esterno sono visibili i segni delle lavorazioni mentre l’interno risulta ben levigato; il soffitto ha un’andamento curvilineo.

 

Non ci attardiamo troppo, perché il sole sta pian piano calando e l’aria, anche a causa di un leggero ventincello, si fa sempre più fresca e pungente. A passo svelto, ci dirigiamo verso una ripida fascia tagliafuoco che risaliamo, con non poco impegno fisico e di fiato, fino a raggiungere quasi la cima di Bruncu Istiddi. Da qui ci dirigiamo sulla nostra destra, imboccando un impervio e quasi invisibile sentierino che si inoltra nella folta macchia mediterranea, probabilmente creato più dagli animali al pascolo che dai nostri simili, e ci sentiamo come tre Indiana Jones quando raggiungiamo, procedendo nuovamente verso il basso, alcune formazioni rocciose totalmente mimetizzate tra la vegetazione e perfettamente integrate con essa: ci troviamo al di sopra delle Domus de Janas di Nadalia, in territorio di Belvì.
Ridiscendiamo sulla parte sinistra per osservare il sito funerario nella sua interezza. Le due domus sono state scavate in un masso scistoso e sono finemente lavorate. Una si apre a circa un metro di altezza rispetto al piano di calpestio ed è formata da due celle, una di forma vagamente quadrangolare, e una piccola celletta alla quale si accede dall’ingresso sulla parete posteriore della prima. Anche l’altra domu  presenta l’apertura rialzata e un ulteriore vano, non integro, sulla parte sinistra: ciò fa su supporre che il tempo abbia eroso l’altro l’ambiente. Gli accessi sono levigati e lavorati, e inoltre è presente anche un altro saggio di scavo, forse di un ulteriore ipogeo.
Incastonate in un blocco di scisto con forme e colori molto particolari, visivamente sono veramente molto gradevoli; totalmente immerse in quest’area verdeggiante acquisiscono, se possibile, ancora più fascino e mistero.

Risaliamo di nuovo il ripido pendio e, procedendo chini tra la vegetazione, obliquamente rispetto al pendio, riguadagnamo nuovamente la fascia tagliafuoco. La discesa non è meno faticosa della salita, perché il vento è aumentato di intesità e si è fatto più freddo e pungente a causa del calare delle temperatura che anticipa il tramonto imminente. Quando raggiungiamo l’auto siamo già infreddoliti e intirizziti.
Mentre ripercorriamo queste caratteristiche stradette in mezzo al bosco, fino a ritornare sulla Statale, ci rendiamo conto di quanto le giornate si stiano ormai accorciando e l’autunno stia cercando di imporsi a discapito delle temperature miti; quando raggiungiamo il centro abitato di Tonara, facendo giusto una breve sosta a una fonte, il termometro segna solo cinque gradi: winter is coming.
Salutata la sorellina Vale, che anche oggi ha condiviso insieme a noi una bella giornata escursionistica, puntiamo il muso dell’auto verso la pianura. Facciamo ritorno a casa che il buio è quasi totale, con la notte che avvolge ogni cosa, e paesi, campagne e strade immersi in una fitta oscurità.

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