Giara, ingresso di Setzu: tra archeologia, piante secolari e cavallini al galoppo

E anche quest’anno le festività natalizie sono arrivate, portandosi appresso il consueto appicicaticcio carico di bontà e auguri sinceri e a te e rubrica, i pranzi e le cene sontuosi, i panettoni e i pandori, i cannoli e i cannoni, e tutto il resto. Ma, per fortuna, la fine del 2023 è ormai prossima e siamo sicuri che il nuovo anno cancellerà quello vecchio a colpi di mengoni, e tutto passerà e la gente sarà contenta.
Per quanto riguarda noi… bè, sono arrivate alcune novità, e ci si prospettano dei cambiamenti abbastanza positivi. Certo, le ultime notizie ricevute in un primo momento ci riempiono di gioia; purtroppo, però, come capita spesso nella nostra vita, dobbiamo sempre avere a che fare col rovescio della medaglia. Come dice il detto Non c’è rosa senza spina… e la nostra spina è molto pungente, e per giunta bella grossa. Ma si sa, la vita è un saliscendi e noi, in questi lunghi anni di escursioni, abbiamo imparato che dopo un’ardua salita veniamo sempre ripagati da una bella vista, e poi c’è sempre una discesa: perciò, come ormai nostra tradizione, anche per questo 26 Dicembre, day after abbuffata natalizia, abbiamo programmato un bel trekking, per rilassarci e mettere da parte, almeno per qualche ora, le negatività.
E dato che c’è un posto dove ci sentiamo sempre particolarmente leggeri, abbiamo deciso che torneremo, dopo un po’ di tempo, sulla Giara, meta di diverse escursioni passate. In particolare, saliremo sull’altipiano dal cosiddetto ingresso di Setzu , visitando perciò una porzione del parco per noi completamente nuova.

Raggiungiamo verso metà mattina la nostra amica Vale e, risalendo la stretta strada asfaltata tracciata sul fianco scosceso dell’altipiano, ci fermiamo per prima cosa alla Domu de Gianas “Sa domu de s’orcu”, sempre in territorio di Setzu, la prima attrattiva dell’escursione di oggi. La sepoltura è ben visibile dalla strada: si trova a ridosso di una collinetta, è molto ben segnalata da pannelli informativi e indicazioni, e c’è una piccola piazzola per lasciare le auto.
La sepoltura ipogeica è stata scavata in un blocco di calcare; l’ingresso è leggermente squadrato, e all’interno si possono osservare due piccole cellette, una delle quali ha subito un crollo. Probabilmente è stata riutilizzata, magari come ricovero per gli animali, in tempi successivi alla sua realizzazione. Gli archeologi ne fanno risalire la costruzione al Neolitico Recente.
Nella parte superiore dell’ipogeo sono presenti alcuni avallamenti circolari, alcuni incavi lineari profondi e un particolare foro, che ricordano coppelle e canalette tipiche di questo genere di sepoltura.

 

Tornati alle auto proseguiamo verso l’alto e raggiungiamo in breve l’ingresso del parco, varcando il cancello e parcheggiando negli spazi appositi: è proprio da qui, dopo una breve chiacchierata con il cortesissimo responsabile dell’Ufficio Informazioni, che inizia la nostra escursione. La giornata è ventilata, leggermente velata da foschia, e il cielo coperto da basse nubi lattiginose rende i colori della natura tenui e un poco spenti, creando un’atmosfera uggiosa che noi comunque riusciamo a rallegrare con le nostre chiacchiere.
Camminiamo sullo stradello costeggiato di bassi cespugli di cisto, esili querce e qualche corbezzolo, vegetazione tipica di quest’ambiente. Notiamo subito l’assenza d’acqua nei cosidetti paulis, le affascinanti paludi che punteggiano la superficie dell’altipiano nella stagione invernale: in questo periodo dovrebbero essere già abbastanza evidenti, invece sono totalmente asciuti a causa delle scarse precipitazioni del periodo. Ed è molto triste vederli ancora praticamente in secca, con appena qualche pozzanghera, e con le pietre che invece di far capolino sullo specchio dell’acqua e riflettercisi sopra assieme al cielo, si ergono solitarie sul fango appena umido, contornate da qualche ciuffetto d’erba.

Proseguiamo verso il Nuraghe Nurazzassu che si trova all’interno di un boschetto di lecci e sughere. Il monumento, che doveva essere di dimensioni ragguardevoli, è interessato da una serie di crolli e per noi è praticamente impossibile capire quale tipologia di nuraghe abbiamo davanti, e ci limitiamo a dire che ci pare possa essere di tipo complesso, a giudicare dalla dimensione delle mura residue e della quantità dei blocchi presenti. Non ci attardiamo comunque troppo a lungo nell’osservazione, anche perché l’itinerario che abbiamo studiato, e che vorremmo portare a termine prima del tramonto, è abbastanza lungo, al contrario delle giornate di questo periodo.
Procediamo di buon passo, soffermandoci qualche volta ad osservare alcuni cavallini, sovrani del territorio, che pascolano oziosamente e di tanto in tanto fanno qualche passo per sfuggire ai nostri sguardi, nascondendosi dietro la vegetazione per poi apparire nuovamente a sbirciare le nostre mosse: sembra quasi si divertano a vedere le nostre facce stupite al loro passaggio.

Il percorso risulta abbastanza semplice, non essendo presenti dislivelli impegnativi che ci costringono a rallentare l’andatura; allo stesso tempo, però, è molto variegato e interessante: lungo la strada incontriamo i tradizionali cuiles e i pinnetus, e delle particolarissime costruzioni basse, allungate e con gli ingressi absidati che abbiamo avuto modo di vedere anche in passato in questa zona. Per quanto riguarda la flora, tra le piante di leccio, corbezzolo, lentischio e quercia spiccano alcune roverelle di dimensioni importanti, con i rami quasi completamente spogli in attesa di lasciar scivolare via le ultime foglie ormai secche, pronte per il riposo vegetativo invernale.

Facciamo una breve pausa pranzo nei pressi di alcuni rifugi tenuti a guardia da due levrieri bianchi, snelli e agili, e ne approfittiamo per fare alcune malinconiche riflessioni sull’andamento lavorativo e l’aumento dei prezzi, ma cambiamo velocemente argomento per cercare di lasciare fuori da questo bel momento tutte la negatività: certo, viene difficile evitare di pensare a guerre e genocidi, povertà e segnali sempre più preoccupanti di un ritorno a tempi buii, neri… ma talvolta è necessario chiudere la porta al mondo esterno, anche per godersi al meglio questi ettari di territorio che sono un vero e proprio paradiso sardo.

Ci rimettiamo in cammino, verso la parte più alta della Giara, punta Zeppara Manna. Qui, proprio sopra questo cucuzzolo, incontriamo un nutrito gruppo di cavallini che prima ci ignorano elegantemente, continuando a pasteggiare con la verde erbetta fresca, e poi, probabilmente stanchi dei nostri sguardi incuriositi, o forse solo per mettersi in bella mostra – abbiamo sempre pensato che siano degli animali abbastanza vanitosi, civettuoli, e dotati in un certo qual modo di una sorta di altezzosa superbia – partono al galoppo, disegnando un perfetto semicerchio attorno a noi. Li osserviamo affascinati, seguendone l’andamento e percependone l’inimitabile senso di libertà che solo questi animali, criniera al vento, sanno donare. Eccoveli, con tanto di colonna sonora assai modaiola!

 

Da quassù possiamo osservare praticamente tutta la Giara, una grande distesa alberata, chiazzata da  radure verdastre e azzurrine: uno spettacolo che, a saperlo apprezzare, non può non lasciare incantati. Riscendiamo verso la stradello e proseguiamo seguendo le indicazioni verso il Cuili Nicolau e i Lentischi secolari. Nell’ovile adiacente all’area ci accolgono un cavallo molto socievole e affettuoso, due cagnolini simpaticissimi e un gattino morbidosissimo, tutti molto felici di vederci e di farsi coccolare. Dedicate le dovute attenzioni agli animaletti, ci inoltriamo all’interno della macchia di lentischi per osservare meglio i grossi tronchi nodosi e attorcigliati che si dipanano in tutte le direzioni, creando quasi una ragnatela legnosa, assai suggestiva: siamo impressionati perché è la prima volta che vediamo esamplari di questa grandezza.

Fosse per noi vorremmo stare qui dentro ancora un po’, ma il percorso per raggiungere le nostre auto è ancora lungo e l’umido pomeridiano inizia a farsi sentire, sospinto da un venticello pungente. Raggiungiamo, dopo aver imboccato un sentiero più stretto che, man mano che proseguiamo, si fa sempre più acquitrinoso, rendendo il nostro cammino più tortuoso (siamo ancora memori di quanto ci capitò in quest’occasione), un particolarissimo ponticello in pietra, con due aperture squadrate per consentire il passaggio delle acque e ricoperto con lastre piatte sulla parte superiore; non abbiamo trovato tante informazioni su questa costruzione, purtroppo, ma sembrerebbe essere molto datato (nuragico, forse?). Oggi il ruscelletto che solitamente gli scorre sotto è totalmente in secca, e i ciottoli del letto hanno una colorazione nerastra e azzurrognola.

Mappa digitale quasi costantemente sotto gli occhi, per evitare di perdere l’orientamento, da qui proseguiamo per sentierini ancora più stretti e invasi dai cisti e da rigagnoli d’acqua: in questo tratto il percorso risulta ancor meno evidente e intuibile, anche a causa del passaggio dei cavallini che, per evitare di sporcarsi gli zoccoletti nelle pozzanghere (pare che, da questo punto di vista, siano abbastanza schizzinosi), creano delle tracce alternative.
E si fa pomeriggio inoltrato, quando giungiamo nuovamente nei pressi del Nuraghe Nurazzassu e raggiungiamo le nostre auto. Abbiamo percorso oltre sedici chilometri e mezzo, ed effettivamente ci sentiamo un po’ stanchi; la fatica accumulata sulle gambe, però, è ampiamente ripagata, perché abbiamo passato una bellissima giornata in un territorio che, senza alcun dubbio, non possiamo che definire meraviglioso. La Giara, se percorsa a piedi senza paura di stancarsi, e soprattutto in una giornata del genere, col cielo costantemente coperto ma affatto minaccioso, è un ambiente talmente particolare da sembrare, pur nella sua relativamente piccola estensione, estremamente vasto. Quassù non si intuiscono confini né limiti, ma solo ampiezza: di cieli, di vedute, di vegetazione, di radure, di spazi dove ci si sente minuscoli e, al contempo, co-protagonisti. Un piccolo mondo alternativo che sembra quasi galleggiare, sospeso in un tempo indefinito, in un mare di serenità e di benefica lentezza.

Salutiamo Vale, che anche oggi ha condiviso con noi questa bella esperienza, e saliamo in auto con la promessa che torneremo a breve da queste parti. Perché quanto scritto poc’anzi va senz’altro ribadito più volte, in considerazione del mutare delle stagioni: e apprezzare le fioriture primaverili e, si spera, i paulis colmi d’acqua, con i ranuncoli in fiore e i cavallini che li attraverseranno, sarà un nuovo spettacolo.

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