Tula: Complesso Archeologico Sa Mandra Manna

(… segue dal post precedente)

Lasciata la Basilica di Sant’Antioco di Bisarcio, dopo alcuni chilometri in auto costeggiamo il paesino di Tula e ci dirigiamo verso le campagne circostanti, imboccando una stradetta sterrata che si addentra in mezzo ai fertili campi fino a quando il tratto percorribile in auto termina, in prossimità di un vialetto pedonale che si inerpica sul fianco di una collina. Sulla cima di questa è stata edificata la fortificazione di Sa Mandra Manna, che comprende una cinta megalitica, un nuraghe arcaico, una tomba di giganti e una sepoltura del tipo a domus de janas.
Risaliamo il dolce pendio scaldati dal sole autunnale e giunti all’ingresso del sito archeologico rimaniamo quasi senza fiato, non tanto per la salita appena fatta quando per l’imponente muraglia megalitica che ci ritroviamo davanti, costituita da due filari di blocchi poliedrici riempiti di pietre che, a quanto leggiamo, risulterebbe essere lunga circa centoventi metri e alta circa tre. La fortificazione, che si può aggirare dall’esterno procedendo lungo tutta la sua lunghezza, è circondata da un ulteriore paramento murario e, se vista dall’alto, ha un andamento a semicerchio, con l’arco orientato a est e l’altra estremità a sud. Dalla parte opposta Sa Mandra Manna (in italiano Il grande recinto) si apre sulla pianura circostante, col bordo sopraelevato di qualche metro rispetto al declivio, quasi una sorta di terrazzamento su quella che sembrerebbe essere una rupe naturale. Un qualcosa di simile, seppur con le debite proporzioni, lo abbiamo già osservato in occasione della nostra visita del sito di Monte Baranta a Olmedo.
Ritorniamo sui nostri passi e siamo nuovamente all’ingresso lato nord. Un monumentale architrave, sorretto da grandi massi sovrapposti e accessibile tramite una sorta di rampa, immette in un corridoio coperto da grossi lastroni piatti, ed è proprio qui che si trovano i conci più noti e fotografati di questo complesso archeologico. Sul lato destro, alcuni grandi blocchi levigati riportano profonde incisioni, dal misterioso significato simbolico: linee verticali e oblique, inframmezzate da piccole coppelle puntiformi. Ci soffermiamo ad osservarne la perfezione, l’elegante armonizzazione con la pietra, e ci domandiamo cosa possano nascondere questi simboli, e cosa magari potrebbero rivelarci sul Popolo che li ha incisi. Alcuni ipotizzano che si tratti di segni di scrittura: chissà se col tempo vi saranno ulteriori conferme in tal senso.
Intanto, proseguiamo con l’esplorazione del sito. Ci troviamo qui all’interno di un nuraghe di tipo arcaico, definito anche a corridoio, annesso alla fortificazione ciclopica e, a quanto abbiamo letto, rifasciato più volte all’esterno, che presenta due grandi vani (quello più all’interno dovrebbe essere il nucleo originario, appunto, del nuraghe arcaico). Entriamo infine all’interno del grande spiazzo erboso ed eccoci in qualche modo protetti dalla massiccia cinta muraria. Girando su noi stessi, possiamo apprezzarne anche l’andamento curvilineo, e ne rimaniamo davvero affascinati: si tratta senza ombra di dubbio di un’opera meravigliosa.

Dopo aver messo qualcosa sotto i denti seduti al sole, usciamo dall’altro ingresso, quello rivolto ad est; anch’esso presenta un architrave possente. Sul lato destro è possibile osservare due grandi monoliti inglobati nella muraglia e, adiacente, un dolmen, la cui copertura purtoppo è collassata sui blocchi che la sorreggevano. Ci troviamo sul limitare del pianoro, e sotto di noi si può intravedere in mezzo alla vegetazione la roccia sulla quale posa il complesso.
Seguendo delle indicazioni ormai sbiadite, inoltrandoci tra bassi olivastri, e la vegetazione tipica della cosidetta macchia mediterranea, arriviamo al confine dell’area, all’estremità sud. Qui, subito sotto, vi è una sepoltura ipogeica, una domu de janas (ricordiamo che la scrittura corretta sarebbe però gianas) a lato di uno stradello sterrato che conduce all’ingresso della proprietà confinante con l’area archeologica.
L’ipogeo è stato scavato in una formazione rocciosa, in posizione sopraelevata rispetto al piano di calpestio; l’ingresso, di forma quadrangolare, consente l’accesso ad un vano a base squadrata con angoli arrotondati, sulla cui parete posteriore è possibile rilevare un piccolo portello lavorato che introduce a un secondo ambiente, questo di forma semicircolare con soffitto piatto. Dagli studi emersi sulla tipologia di lavorazione della pietra, e dall’utilizzo del portello, gli esperti hanno datato la sepoltura al periodo tra il IV e gli inizi del III millennio A.C..

Torniamo sui nostri passi e raggiungiamo nuovamente la cinta megalitica, che stavolta circumnavighiamo all’esterno, soffermandoci di tanto in tanto ad osservare i massicci blocchi sovrapposti, eleganti nel loro andamento curvilineo nonostante la mole e il peso che li contraddistiguono. Giunti nuovamente quasi all’ingresso del sito ci dirigiamo sulla nostra destra, seguendo un piccolo cartello direzionale, verso il terreno adiacente, aprendo e richiudendo il cancelletto di un terreno dove, a poca distanza, dovremmo poter osservare una tomba di giganti.
Attraversato un vasto campo, con tutta probabilità adibito a pascolo – facile dedurlo, dalle tracce lasciate dagli animali e dal fatto che sono presenti alcune strutture che hanno tutta l’aria di essere adibite a ricovero per gli stessi – individuiamo una piccola casetta in pietra, poco più di un rudere, con le imposte divelte: l’antica sepoltura dovrebbe trovarsi proprio nei pressi di questa costruzione, ma non riusciamo a individuarla. Continuiamo ad avanzare, raggiungendo la piccola costruzione, e solo in questo momento ci rendiamo conto che la stessa non è affatto adiacente alla sepoltura, ma in verità è stata proprio costruita sopra l’esedra. Della tomba di giganti, quindi, rimane solo il lungo corridoio tombale, con rifascio esterno, che va ad immettersi nel muro laterale di pietra della casetta. Appena ce ne rendiamo conto, i nostri cuori sembrano fermarsi per il dispiacere, e non possiamo far altro che domandarci come mai chi l’ha realizzata (la costruzione non ha comunque l’aria di essere recente), con tutto quel popò di terreno a sua disposizione, abbia deciso di costruirla proprio sopra un monumento funebre antico, utilizzando probabilmente anche la pietre che lo costituivano.
A poca distanza si intuiscono anche i resti di una fonte sacra, ma preferiamo tornare indietro, anche perché manca ormai appena poco più di un’ora all’inizio della Cerimonia di Premiazione, e non possiamo assolutamente attardarci.

Un’ultimo sguardo a questo sito spettacolare, mentre ridiscendiamo verso l’ingresso del vialetto pedonale, e all’imponente muraglia che protegge il pianoro, ed eccoci alle nostre auto. Giusto il tempo per un veloce cambio d’abito e siamo pronti, infine, per raggiungere Ozieri.

L’emozione comincia a farsi sentire!

 

(continua…)

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