Orune: Area archeologica Su Pradu, Area archeologica Sant’Efis

(…segue dal post precedente)
La prossima tappa è l’Area Archeologica in località Su Pradu, comprendente un nuraghe e una fonte sacra, che si trova nella parte più alta del paese, nei pressi dell’omonimo parco, al cui ingresso lasciamo le auto. Seguendo le indicazioni che ci hanno dato Maria Giovanna e Kekko, entriamo all’interno aprendo e richiudendo un cancello: superata una graziosa area picnic sulla sinistra, separata da un muretto ma accessibile tramite un cancelletto a tornello girevole, ci inoltriamo nel fitto bosco di lecci; i nutriti gruppi di alberi alti e frondosi inombrano il terreno e, alternati a enormi formazioni di massi di granito che riflettono i tenui bagliori del sole appena velato dalla sottile caligine pomeridiana, rendono il paesaggio quasi fiabesco.

Innanzitutto, andiamo alla ricerca del nuraghe, di cui sappiamo solo che è stato edificato in posizione sopraelevata. Nonostante il GPS dei nostri cellulari sia un pochino dispettoso, visto che approssima un po’ troppo la nostra reale posizione sul globo terrestre, Valentina riesce comunque ad individuare, da lontano e da posizione non troppo favorevole, l’architrave dell’ingresso, ben mimetizzato tra le rocce e la vegetazione. Una sorta di scalinata, parzialmente lavorata per essere adattata alla conformazione rocciosa del cocuzzolo, conduce al monumento: la risaliamo, talvolta con l’ausilio delle mani, e ci inoltriamo tra le mura residue del complesso. Del corpo del nuraghe rimangono soltanto alcuni filari di enormi blocchi sovrapposti e sbozzati, ma sono ancora ben visibili la camera centrale e alcune nicchie che in origine dovevano senz’altro avere dimensioni ragguardevoli. Risaliamo sulla destra ciò che rimane, poco meno di un metro e mezzo circa di altezza, della ripida scalinata elicoidale: quasi inutile precisare che dalla cima di questo cocuzzolo, circondato dal bosco, si gode di un panorama mozzafiato.

Ridiscendiamo, e ci dedichiamo alla ricerca della fonte sacra, che sappiamo essere ubicata nelle immediate vicinanze. Un circolo di pietre spunta dallo spesso tappeto di foglie secche: ci avviciniamo, ed eccola lì, anch’essa semisepolta dal fogliame, ma strabordante d’acqua. La piccola fonte sacra fa bella mostra di sè: si vedono i primi gradini sotto il pelo dell’acqua, e i blocchi superiori, mentre della copertura rimangono alcuni lastroni piatti.

Ci rendiamo improvvisamente conto che sono già le tre del pomeriggio e, non avendo ancora pranzato, ci sembra il momento adatto per fare una pausa e mettere qualcosa sotto i denti: e quale posto migliore dell’area picnic per mangiare un boccone al volo? La nostra sosta però è breve e, dopo nemmeno mezz’ora, risaliamo in auto e ci dirigiamo nuovamente verso il centro di Orune e, più precisamente, allo Snack Bar Deiana, dove Kekko ci ha tenuto in sospeso un ulteriore cumbidu dimostrandoci, una volta di più, e senza che ce ne fosse ulteriore bisogno, la grande ospitalità sua e dei suoi concittadini. La titolare ci accoglie con un sorriso allegro e caloroso e, neanche il tempo di accomodarci, abbiamo subito pronte callentis callentis sul tavolino le sue famosissime seadas: hanno un profumo invitante e un aspetto delizioso, così belle gonfie e luccicanti di miele! Preparate artigialmente, evidentemente genuine, fatte interamente con prodotti locali a km zero e impastate con passione e amore da mani esperte: tutte qualità che si riflettono anche sul gusto, perché sono tra le seadas più buone, ed enormi!, che abbiamo mangiato finora. Subito dopo, ad accompagnare una bella tazzina di caffè fumante, ci invita ad assaggiare anche i suoi pabassinos e, anche in questo caso, oltre all’aspetto veramente invitante, ci colpisce il loro gusto particolare: la ricetta è diversa da quella campidanese che conosciamo noi e che prevede l’utilizzo de sa sapa (il mosto cotto, conosciuto anche come miele d’uva), e sono stati utilizzati alcuni ingredienti che li rendono davvero superbi, deliziosi. Ovviamente, non li sveleremo su questo spazio: se volete assaggiare queste prelibatezze, e altre, andate allo Snack Bar Deiana ad Orune, Corso Repubblica 186, e non ve ne pentirete.
Per quanto ci riguarda, ci piacerebbe intrattenerci a chiacchierare, e magari assaggiare quel liquore al finocchietto che sembra tanto tanto buono… ma si sta facendo davvero tardi, e abbiamo ancora in programma due siti da visitare, prima che termini questa bella giornata.

 

Risaliti in auto, usciamo dal paese prendendo la SS 389 in direzione Núoro. Dopo circa una decina di minuti, raggiugiamo l’Area Archeologica di Sant’Efis, parcheggiando in uno spiazzo adiacente al bosco e seguendo un vialetto dotato di apposita segnaletica.
Il sito è suddiviso in varie zone, alcune delimitate da muretti a secco. Entriamo e, percorsi pochi metri, sulla nostra sinistra troviamo i resti di un insediamento romano, con alcuni edifici attorno ad una piccola piazza: si tratta di costruzioni di dimensioni ragguardevoli, che conservano una buona altezza residua. La pavimentazione è ancora in sede; una particolarità che attira la nostra attenzione è la grande canaletta di scolo che li attraversa, coperta da lastre di pietra piatta.
Passiamo da un ambiente all’altro: gli stipiti e le soglie degli ingressi sono integri e, in alcuni punti, l’elevato murario è di circa due metri; in un vano possiamo risalire una scalinata che, probabilmente, conduceva ad un soppalco, e che ci consente di osservare le strutture dall’alto. Alcuni ambienti sono suddivisi in due o più vani e presentano dei banconi che fanno pensare a delle botteghe, o comunque a locali ad uso commerciale. Leggiamo, su un pannello nei pressi dell’ingresso, che in uno di questi ambienti è stata ritrovata una moneta, un Solidus Valentiniano III.

Proseguiamo la nostra esplorazione. Il secondo, imponente edificio, è la Chiesa di Sant’Efisio, con l’altare e il presbiterio ben visibili.
Poco oltre, troviamo un altro grande edificio, di forma quadrangolare, con dei monoliti che probabilmente erano gli stipiti per le porte, ancora in piedi. Leggiamo, su un altro pannello informativo, che probabilmente aveva la funzione di deposito per un’attività di tipo artigianale e non fosse, quindi, un semplice magazzino. Durante gli scavi sono state ritrovate anfore e pentole in ceramica, ma anche vasi e brocche di ferro e bronzo e alcuni oggetti di pregio, come ad esempio una gemma incisa, oltre a vari recipienti sempre in bronzo e un bicchiere di vetro inciso. Dalle ultime analisi si pensa che a partire dalla metà del V Secolo D.C. l’edificio non sia più stato utilizzato.

Ci spostiamo ancora, verso un’alta formazione di rocce granitiche al di sopra delle quali si trovano dei resti di epoca nuragica. Arrivati in cima, ci ritroviamo proprio sulla sommità di una camera circolare: una ripida scalinata conduce all’interno, e ci fa pensare che si possa trattare di una sorta di cisterna, anche perché non vediamo altre aperture. In più, ci sembra di notare delle canalette di scolo che, dalla costruzione, discendono lungo le rocce, parzialmente lavorate a gradoni, verso l’abitato sottostante. Anche questa costruzione, in modo analogo a quella osservata nel parco di Su Pradu, ingloba la roccia naturale sottostante, fino a diventarne parte integrante. Ridiscendiamo in basso, dove si trovano alcuni edifici a pianta circolare, collegati tra di loro da stretti viottoli: l’impressione generale è che qui, e in tutta la vasta area circostante, ci siano ancora tante strutture da portare alla luce, e tanto da scavare e indagare.

A pochissima distanza, infine, raggiungiamo un’altra piccola Fonte Sacra, colma d’acqua: sembra proprio un Pozzo Sacro in miniatura, con la classica forma, se vista dall’alto, a toppa di serratura, data dal vano scala strombato, con la larghezza dei gradini che diminuisce con la discesa, congiunto alla pianta circolare del pozzo. Si nota la struttura, a blocchi sovrapposti aggettanti, e il lastricato sulla parte anteriore.

Anche la visita dell’Area Archeologica di Sant’Efis è stata un’esperienza che ci ha affascinato, facendoci trascurare il ruotare inesorabile delle lancette: con un’occhiata all’orologio, ci rendiamo conto che la giornata è volata via, e sono quasi le 19 quando decidiamo di tornare alle nostre auto per l’ultima tappa, prima di dirigerci nuovamente verso casa.
(continua…)

 

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