Trekking Monte Arci #1: Pineta Is Benas, Trébina Longa, Trébina Lada, e altro

La nostra meta, questo Martedì assolato di Giugno che è anche Festa della Repubblica, è il Monte Arci, un massiccio montuoso che si erge a separare la pianura del Campidano dalla Marmilla e dalla Giara di Gésturi, superando gli 800 metri di altezza. Territorio appartenente a diversi comuni in Provincia di Oristano, con una splendida vista sul Golfo omonimo a ovest, è grossomodo un esteso altipiano di origine vulcanica, dominato da formazioni trachitiche e basaltiche, sul quale si elevano in particolare tre vette: Sa Trébina Longa, Sa Trébina Lada e Su Coróngiu de Sitzoa. Tante informazioni su parco, territorio, flora, fauna, percorsi, itinerari, ecc., sono disponibili sul sito http://www.parcomontearci.it.
Particolarmente allegri, visto che è la prima volta che organizziamo un’escursione in questa zona, nota soprattutto per la presenza del più grande giacimento di ossidiana dell’Isola, sfruttato fin dal Neolitico, saliamo in auto e in poco più di mezz’ora giungiamo a destinazione, lasciando Melitta comodamente parcheggiata in un ampio spiazzo (siamo, occorre precisarlo, in territorio di Morgongiori). L’aria mattutina è fresca, perché movimentata da una leggera brezza di maestrale, ma il sole si fa sentire e, per evitare scottature come nella precedente escursione sulla Giara, perdiamo qualche minuto a spalmarci collo e spalle di crema protettiva: eccoci pronti per la prima esperienza di trekking in questa zona.

Varchiamo l’ingresso alla pineta di Is Benas, addentrandoci subito in un fitto e fresco boschetto che attraversiamo in pochi minuti, e ci inoltriamo poi per sentieri e stradelli incorniciati da cespugli verdeggianti tipici della macchia mediterranea. Ovviamente non possiamo non soffermarci quasi ad ogni passo ad ammirare i pezzetti di ossidiana che scricchiolano sotto le nostre scarpe. Nonostante ultimamente le temperature siano in aumento, qui la natura è molto rigogliosa: i piccoli arbusti, i cespugli, le enormi felci, risplendono di un verde brillante e il cisto è tempestato di piccoli fiori bianchi e rosa sui quali le farfalle si posano leggere.
Proseguiamo su un breve tratto con asfalto ecologico, rapiti dallo splendore del paesaggio e dal silenzio quasi irreale, fino a raggiungere l’ingresso ad un fitto bosco ombroso di lecci, all’interno del quale veniamo condotti su uno stradello ricoperto da uno spesso tappeto di foglie. Lo abbandoniamo, facendo una piccola deviazione per vedere la cascata del Rio Salonis, ma con nostra grande delusione non c’è nemmeno una goccia di acqua: in compenso però ci perdiamo davanti all’ennesimo, bellissimo panorama. Poi riprendiamo la nostra passeggiata: il percorso che abbiamo programmato è abbastanza lungo e non abbiamo il tempo di soffermarci troppo e, tra l’altro, in questo tratto inizia la salita. La temperatura è gradevole: grandi nuvole bianche, simili a zucchero filato, si susseguono sopra le nostre teste e una brezza fresca concilia i nostri passi e rinvigorisce il nostro spirito.

Passo dopo passo, fuori dal bosco, ci ritroviamo davanti ad un cancello: sembrerebbe l’ingresso ad un’area di ripopolamento faunistico. Lo attraversiamo (richiudendolo così come indicato sul cartello affisso) e camminiamo nel modo più silenzioso possibile, nella speranza di incontrare qualche esemplare che circola indisturbato.
Stiamo risalendo, indicativamente, verso il ripetitore di Morgongiori: sulla nostra destra, in lontananza e più in alto rispetto alla nostra posizione, osserviamo un folto rimboschimento di pini. Ci troviamo in “Località Acqua Marzana”, in territorio di Morgongiori appunto, a 600 mslm: un abbeveratoio e una grande vasca piena d’acqua attirano la nostra attenzione, con i girini che nuotano mentre le nuvole si specchiano sulla superficie.

Sempre in salita, percorriamo un sentiero appena accennato, al principio invaso dall’erba – probabilmente siamo i primi visitatori dopo tanto tempo – ma su cui, dopo pochi passi, ci ritroviamo a calpestare la dura roccia vulcanica, tempestata da erbetta grassa con le foglie rosse punteggiate da fiorellini bianchi simili a piccole stelline: il paesaggio varia velocemente sotto i nostri occhi, trasformandosi via via da un verde invadente e rigoglioso, quasi da foresta pluviale, a radura desolata coperta d’erba rada e quasi secca. Quasi distratti da tutta quest’alternanza di colori, ci ritroviamo letteralmente all’improvviso davanti al cancello che ci consente di uscire da quest’area, oltre il quale un ampio stradello ci conduce, svoltando a destra, alla cima più alta del complesso montuoso: Sa Trébina Longa. Qui una pausa è d’obbligo! Abbiamo davanti il grande neck vulcanico che si staglia sullo sfondo di una paesaggio mozzafiato costituito dalla catena di alture dell’Arburese e Guspinese (Arcuentu e Maiori) la cui silhouette digrada verso Capo Frasca alla nostra sinistra, mentre al centro la pianura a quadretti che contraddistingue Terralba, Tanca Marchesa e Arborea ci separa dall’azzurro del mare del Golfo di Oristano; a destra, in lontananza e leggermente velata, la Penisola del Sinis precede le alture del Montiferru a chiudere questa stupenda panoramica.

Il picco di Trébina Longa sembra quasi sospeso per aria: una sottile lingua di terra lo collega alla strada sulla quale ci troviamo; la roccia basaltica affiora, scura, tra la vegetazione colorata e variegata che vira dal verde al rosso. Prima di soffermarci per la pausa pranzo, che ovviamente consumeremo ai suoi piedi, ci avviciniamo a dare uno sguardo ad un piccolo rifugio in pietra nei pressi del ripetitore, una zona militare totalmente fuoriluogo, per quanto ci riguarda, in quest’oasi naturale. Mentre pranziamo, il cinguettio allegro degli uccelli ci riscalda il cuore: ci rilassiamo in questo luogo incatevole, osservando le coloratissime fioriture di questo periodo dell’anno mentre api, bombi, farfalle e coccinelle svolazzano da una parte all’altra, facendoci compagnia.

Purtroppo, il momento di lasciare questo angolo di paradiso, stupendamente lontano da quel mondo di strade, case e persone 800 metri più in basso, giunge fin troppo velocemente: dobbiamo rimetterci in marcia anche perché il vento di maestrale ora sta soffiando più forte, ed è meglio non far sfreddare troppo il fisico. Ridiscendiamo per la strada sterrata per raggiungere la seconda cima più alta del complesso: Sa Trébina Lada. Non è poi così distante: dopo qualche minuto svoltiamo alla nostra destra, su una breve salita e attraverso un nuovo angolo di bosco, e siamo ai suoi piedi: una grande rupe rocciosa, quasi priva di vegetazione, a tratti liscia e a tratti formata da piccoli incavi tipici di questo genere di formazioni basaltiche.

Proseguiamo attraversando il fitto bosco, ora in discesa, superando un area picnic, dove alcune famiglie riposano all’ombra degli alberi e prendendo un sentierino sulla destra, che segue un lungo canalone che sboccherà, molto più in basso, nei pressi dello spiazzo dove abbiamo lasciato l’auto. Durante la lunga discesa attraverso la fitta vegetazione, consultando la nostra mappa digitale, decidiamo di fare una piccola deviazione per visitare una cava di perlite in disuso, che raggiungiamo tramite un tortuoso sentierino che aggira una propaggine del versante. Sotto i nostri piedi il percorso è quasi totalmente cosparso di pezzi di ossidiana di varie dimensioni, e l’oro nero, il Vetro di Drago Sardo, riflette i raggi del sole in maniera ancor più evidente grazie al grigio della perlite. Anche le pareti della cava sono punteggiate da cristalli neri: mentre osserviamo affascinati, un piccolo gregge di caprette ci passa accanto, in silenzio, quasi per non mancare di rispetto alla quiete di questo luogo.

Ritorniamo ancora una volta sui nostri passi. La parte finale del sentiero che conduce alla nostra auto passa, dopo una lunga discesa tra la macchia mediterranea, all’interno di una vasta area invasa da felci enormi, quasi più alte di noi: ci verrebbe quasi voglia di metterci a nuotare, attraverso questo verde mare leggermente mosso dal vento. Al di fuori della vegetazione, ci ritroviamo su una sterrata di collegamento: la nostra auto è lì, sulla sinistra, a poca distanza ma, dato che ci siamo, attraversiamo e imbocchiamo un sentierino che si dirige alla nostra destra, per giungere in un’altra zona dove il verde è sostituito dal grigio della pietra vulcanica.
Qui possiamo osservare delle caratteristiche grotticelle, ricavate lungo i fianchi delle varie formazioni rocciose che si sviluppano in lunghe creste frastagliate. Risaliamo le colate basaltiche per osservarne alcune il cui interno sembra liscio e lavorato da mano umana: ci piace pensare che possano essere state utilizzate come rifugio o abitazione in un’epoca molto lontana (da qualche parte abbiamo letto che potrebbero essere addirittura delle domus de janas).

Superiamo, infine, un laghetto artificiale, ritornando sulla strada asfaltata che affianca la pineta di Is Benas e, in pochi passi, ci ritroviamo di nuovo sullo spiazzo dal quale siamo partiti in mattinata. Siamo un pochino stanchi, ma estremamente soddisfatti di questa giornata. La nostra prima volta sul Monte Arci, corrispondente alla nostra prima escursione post-lockdown, non poteva andare meglio di così, tant’è che decidiamo subito di ritornare da queste parti al più presto: questa zona meravigliosamente vasta, verde e un po’ selvaggia merita senz’altro una seconda visita.

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